sabato 16 dicembre 2017

pc 16 dicembre - Stato-mafia… "Dell'Utri opzione politica individuata da Riina"

Inizia la requisitoria dei pubblici ministeri nel processo “Trattativa Stato-mafia”, proseguirà sino a fine gennaio. Sentenza, probabilmente, in primavera

"Si rassegnino certi commentatori. Una sentenza ormai definitiva dice che una trattativa si verificò". 
Dice il giudice Di Matteo.
Trattativa Stato-mafia, la requisitoria: "Dell'Utri opzione politica individuata da Riina"
Il pm Tartaglia: "Contatto stabilito dopo gli incendi alla Standa di Catania". Un pentito parla di un incontro con il boss Santapaola. Di Matteo: "L'intransigenza dell'ex ministro Scotti un ostacolo per la trattativa, ecco perché fu sostituito". I pm: "Sono stati Mori e De Donno a parlare di trattativa nel 1998". L'ex senatore in carcere sospende lo sciopero della fame ma rifiuta i farmaci

“FU Marcello Dell’Utri il mediatore delle minacce lanciate da Cosa nostra”, esordisce il pubblico ministero Roberto Tartaglia, nel secondo giorno della requisitoria al processo “Trattativa Stato-mafia”. Nella ricostruzione della procura di Palermo, dopo il delitto dell’eurodeputato dc Salvo Lima, il vertice dell’organizzazione mafiosa sarebbe andato alla ricerca di un nuovo referente politico. “Dell’Utri fu l’opzione politica individuata da Totò Riina in persona”.

L'inizio della requisitoria. "Ecco i rapporti fra i boss e le istituzioni"

Così il nome di Dell'Utri torna in primo piano nel processo proprio mentre l'ex senatore è al centro
del braccio di ferro politico e mediatico sulla sua richiesta di cure fuori dal carcere. Intanto Dell'Utri ha sospeso lo sciopero della fame nel carcere di Rebibbia, a Roma, dove sta scontando la condanna a sette anni per concorso esterno in associazione mafiosa. Ha ripreso a mangiare e bere ma continua a rifiutare le cure mediche. La settimana scorsa il tribunale di sorveglianza ha respinto la richiesta di scarcerazione per motivi di salute.

“I boss puntarono all’intimidazione, per poi raggiungere il patto”, dice Tartaglia, che cita gli attentati alla Standa di Catania del 1990-91: “Il pentito Malvagna ci ha raccontato che scese un alto dirigente Fininvest per risolvere la questione”. Era Dell’Utri, ha detto un altro pentito, Maurizio Avola, e avrebbe incontrato il capomafia Nitto Santapaola. Sembra confermare questa ricostruzione il boss Totò Riina, intercettato qualche anno fa in carcere: “Lo cercavano… dategli fuoco alla Standa accussì lo metto sotto. Mandò a chiddu, 'u palermitano, 'u senatore, quello che poi finì in galera”. Per la procura, è un attendibile racconto in presa diretta di quello che accadde.

Tartaglia, che conduce la requisitoria con i colleghi Di MatteoTeresi Del Bene, cita il racconto del pentito Salvatore Cancemi: “A fine 1991 mi mandò a chiamare, per dire a Vittorio Mangano di farsi da parte”. Spiega il pm: “Non serviva più un rapporto economico, ma altro”. E Vittorio Mangano, lo stalliere di Arcore, che da metà degli anni Settanta era stato il garante del “patto di protezione” (come lo chiama la Cassazione che ha condannato Dell’Utri) fra Berlusconi e la mafia, doveva farsi da parte. Per lasciare spazio ad altri.

La procura cita anche il racconto di Pino Lipari, stretto collaboratore del boss Bernardo Provenzano, che al processo Trattativa ha fatto delle dichiarazioni, pur non essendo un collaboratore di giustizia. “Nel primo semestre 1992, Provenzano mi disse che c’era aria di un movimento politico nuovo. Disse pure che l’ideologo di questo movimento sarebbe stato Dell’Utri”.

Nella ricostruzione dell’accusa, la nascita di Forza Italia (che risale ufficialmente al 1994) era già in embrione nei primi mesi del 1992. Tartaglia cita Enzo Cartotto: “Subito dopo il delitto Lima, Dell’Utri mi incaricò di creare dei comitati di partecipazione”. Spiega il pm: “Dell’Utri sosteneva che Lima dovesse essere sostituito con qualcos’altro, anche questo disse a Cartotto. Poi, spiegò che Lima era stato ucciso perché non mantenne la parola”.

Nella requisitoria arrivano le parole del boss Giuseppe Graviano, intercettate in carcere nei mesi scorsi: “Nel 1992 voleva scendere, ma era disturbato dai vecchi… Ci vulissi una bella cosa”. Per la procura, un chiaro riferimento a Berlusconi. In un quadro che nel 1993 era in continua evoluzione: “Cosa nostra puntò inizialmente sul movimento autonomista Sicilia Libera, poi – dice il pm Tartaglia – quelle stesse persone passarono in Forza Italia”.
·        "L'INTRANSIGENZA DEL MINISTRO SCOTTI"  
"Ci fu una trattativa politica - dice il pm Nino Di Matteo - tra i vertici del Ros dei carabinieri e i vertici di Cosa nostra. La requisitoria affronta adesso il capitolo riguardante l'allora colonnello Mario Mori e il capitano Giuseppe De Donno, che dopo la strage di Capaci avviarono un dialogo segreto con l'ex sindaco mafioso di Palermo Vito Ciancimino.

Di Matteo parla della "diffusa omertà istituzionale che ancora oggi ha caratterizzato la ricostruzione di quelle vicende", e loda "l'intransigenza, il coraggio" di una persona, l'allora ministro dell'Interno Vincenzo Scotti. Nel marzo del '92, subito dopo l'omicidio di Salvo Lima, denunciò più volte un allarme attentati ad esponenti delle istituzioni parlando di un rischio di ''destabilizzazioni delle istituzioni'', ma l'allora presidente del Consiglio Giulio Andreotti lo giudicò un ''venditore di patacche''. Di Matteo cita in aula le parole pronunciate da Scotti in sua difesa, in parlamento. Disse: "Le gente deve sapere, siamo un Paese di misteri". Parole importanti, dice Di Matteo. "La linea della fermezza di Scotti era diventato un pericolo per la trattativa. E per questo fu sostituito, con Nicola Mancino".
·        "LA BUGIA DEL GENERALE SUBRANNI"
"Ma perché - si chiede il pm Di Matteo - i carabinieri del Ros si rivolsero proprio a Vito Ciancimino per intrattenere quel dialogo segreto nel 1992?". Per la procura, l'allora comandante del Ros Antonio Subranni aveva "rapporti cordiali con Ciancimino sin dalla fine degli anni Settanta". Di Matteo cita alcuni biglietti ritrovati di recente, nell'archivio del palazzo di giustizia, fra le carte sequestrate a Ciancimino al momento del suo arresto. "Biglietti di saluti e auguri inviati da Subranni all'ex sindaco, nel 1978. Eppure, in aula, l'allora comandante del Reparto Operativo di Palermo Subranni ha negato di avere mai avuto rapporti con Ciancimino. Ancora i biglietti non erano emersi, ha mentito"
·        FU MORI A PARLARE DI TRATTATIVA, NEL 1998"
"Prima ancora dei pentiti e di Massimo Ciancimino, altri hanno parlato di trattativa". Di Matteo a sorpesa: "Sono stati proprio gli imputati Mori e Donno a lasciarsi sfuggire la parola trattativa durante la loro deposizione al processo per la strage di Firenze. Era il 1998, ancora nessuno aveva parlato di trattativa". Il pm cita il verbale della deposizione di Mori, il 27 gennaio 1998: "Dissi a Ciancimino, ormai c'è un muro contro muro. Ma non si può parlare con questa gente?". Per Di Matteo, parole chiarissime: "Ma quale attività investigativa, come si sono sempre difesi i carabinieri. Il comandante di un reparto di eccellenza va da un soggetto che sa in contatto con esponenti di vertice di Cosa nostra e dice quelle cose, per porre fine alle stragi e al muro contro muro. Altro che presunta trattativa - chiosa il pm - altro che pseudo trattativa, altro che patacca trattativa, altro che processo nato dalle dichiarazioni di Massimo Ciancimino. Furono Mori e De Donno ad utilizzare l'espressione trattativa dopo che era emersa la notizia delle dichiarazioni del pentito Brusca, che nel 1996 aveva parlato del papello di Riina".

Secondo i pubblici ministeri, all'epoca i due ufficiali parlarono di trattativa "perché

 erano sicuri della loro impunità". I giudici del processo di Firenze scrissero: "Una trattativa ci fu e venne inizialmente impostata con un do ut des. L'iniziativa fu degli uomini delle istituzioni, per far cessare le stragi. Ciancimino fu ritenuto la persona più adatta per far arrivare un messaggio alla Cupola". Dice Di Matteo: "Si rassegnino certi commentatori. Una sentenza ormai definitiva dice che una trattativa si verificò".
La repubblica Palermo

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